Chi di noi ha mai vissuto una vita lavorativa senza conflitti e problemi?

Chi di noi ha mai vissuto una vita lavorativa senza conflitti e problemi? Siamo dunque tutti vittime di mobbing? La risposta ovviamente è no. Se il vostro capoufficio, una tantum, arriva irritato per i fatti suoi e voi gli riferite l’esistenza di un problema, probabilmente verrete trattati male. In questo caso, però, non siete vittime di mobbing, ma solo di azioni mobbizzanti: azioni fastidiose ma legate a fattori situazionali (una giornata storta, un mal di testa, un problema privato etc) e quindi momentanee. Se invece, per qualsiasi ragione, i comportamenti aggressivi diventano un’abitudine, cioè se le azioni mobbizzanti diventano regolari, sistematiche e di lunga durata, allora si può parlare di mobbing.

Il mobbing infatti si configura come un’azione vessatoria che si ripete sul luogo di lavoro nel tempo, minimo 6 mesi, allo scopo preciso di danneggiare il mobbizzato, e può essere attualizzato da pari livello (mobbing orizzontale) o da superiori (mobbing verticale). Uno degli studiosi più autorevoli nel settore, Ege, definisce il mobbing come “Una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio, allo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare a invalidità psicofisica permanente”.

Tipiche azioni mobbizzanti sono: pressioni psicologiche, calunnie sistematiche, minacce o atteggiamenti volti ad intimorire ingiustamente, critiche immotivate e/o atteggiamenti ostili, delegittimazione dell’immagine, esclusione dall’attività lavorativa o svuotamento dalle mansioni, attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al proprio ruolo professionale, impedimento sistematico ed immotivato all’accesso a notizie ed informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, marginalizzazione rispetto ad iniziative formative e di aggiornamento professionale, esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore idonee a produrre seri disagi.

Molte persone che vivono situazioni lavorative mobbizzanti hanno timore di denunciare, di perdere il lavoro, di possibili ritorsioni, etc. In realtà dovrebbero farlo, poiché il mobbing nasce come patologia relazionale sul posto di lavoro, ma si tramuta ben presto in sofferenza psico-fisica per il lavoratore, con sintomi psico-somatici (ansia, depressione, cefalea, gastralgia, disturbi della memoria e della concentrazione) di varia intensità e gravità. Spesso il lavoratore giunge a cumulare un danno alla salute- detto danno biologico psichico- di grado permanente, per cui merita di essere risarcito.

Inoltre, denunciare queste situazione è un atto di responsabilità sociale e civile.

In questi casi, una figura professionale può offire sia il giusto dovuto supporto che gli strumenti pratici ed operativi per venir fuori dalla situazione e chiedere il giusto risarcimento.